Frullare la pizza? Come cambiare definitivamente le tue abitudini alimentari

Frullare la pizza? Come cambiare definitivamente le tue abitudini alimentari

Eccomi di nuovo su questi schermi per raccontarti un aneddoto curioso sull’argomento “abitudini alimentari” che mi è capitato durante una delle prime consulenze alimentari effettuate in assoluto agli albori della mia carriera.

Credo fosse la terza o quarta persona con cui avevo a che fare nel mio lavoro di nutrizionista.

Era ancora tutto nuovo a quei tempi.

Non tanto la teoria che in realtà conoscevo sufficientemente bene (avevo appena terminato l’esame di Stato per abilitarmi come “biologo nutrizionista”, tutto ciò che invece era legato alla pratica d’ufficio (relazionarmi con le persone al meglio, calarmi nei loro panni, comprenderle appieno e porre le giuste domande in relazione ai problemi manifestati) lo stavo apprendendo e affinando proprio in quel periodo. 

Come qualunque libero professionista all’inizio della sua carriera ed in rampa di lancio, queste sono le difficoltà oggettive che mi sono trovato ad affrontare.

Per fortuna sono un lontano ricordo ora!

Quello strano incontro

Torniamo però a quell’incontro, che mi ha lasciato così basito da ricordarlo ancora come se fosse accaduto pochi minuti fa.

 

abitudini alimentariIn quel periodo collaboravo con una farmacia bresciana piuttosto nota, localizzata a ridosso del centro storico.

La collaborazione con la farmacia funzionava così: veniva programmata una giornata con il nutrizionista (cioè io) e ogni persona aveva 30 minuti di consulenza iniziali per inquadrare la situazione e vedere se effettivamente il mio intervento poteva essere utile. 

Da qui poi poteva nascere una consulenza più strutturata e completa per volte successive al fine di risolvere il problema che il paziente aveva.

Quello che sto per raccontarvi è avvenuto proprio durante una di queste brevi consulenze introduttive di 30 minuti.


Era un sabato mattina, il mio giorno canonico di lavoro in quella farmacia.

Nel mio studio si presenta una donna sui 55 anni, di aspetto piuttosto trascurato, alta circa un metro e settanta, il cui peso si aggirava sui 100 kg.

Non ricordo più il suo nome, non è importante ai fini del racconto.

Questa donna si siede e mi chiede di aiutarla a perdere peso.

“Benissimo!” Penso tra me e me. Già allora me la cavavo bene coi programmi per la perdita di grasso.

Mi racconta del suo passato, delle sue difficoltà nel rapportarsi al cibo e dell’arrivo del diabete di tipo 2 una decina di anni prima.

Poi, 3 anni prima di quel nostro incontro e raggiunti i 140 kg, il suo medico specialista le consiglia un intervento di riduzione dello stomaco (gastrectomia verticale parziale), effettuato poi con successo, che nel corso di 18 mesi conduce la signora verso i 100 kg, ovvero il peso di quel giorno.

Il diabete però non accennava a migliorare nonostante la perdita di peso.

Anzi, la situazione era piuttosto complessa ed in peggioramento. Ed infatti la necessità dell’incontro con me era nata proprio da questa situazione. Era ad un passo dall’uso cronico di insulina iniettabile, la glicemia era fuori controllo.

Rimango molto colpito dalla sua storia e, incuriosito, chiedo qualche informazione riguardo alla sua giornata alimentare tipo.

abitudini alimentariE dopo l’elenco degli alimenti consumati ai vari pasti (piuttosto disordinato e scorretto, d’altronde nessuno le aveva mai insegnato nulla a riguardo) mi racconta del suo curioso modo di mangiare la pizza.

Devi sapere che quando subisci un intervento di riduzione dello stomaco il suo volume totale diminuisce di molto e potrà contenere meno cibo. La logica di questo intervento è di accelerare la sensazione di sazietà indotta dallo stomaco dilatato. Ovviamente più è piccolo e con meno cibo si riempirà, rilasciando quindi i segnali di sazietà diretti al cervello molto prima di quanto accadrebbe normalmente a parità di cibo introdotto.

 

Puoi comprendere come il volume totale che ha una pizza non riesce a stare tutto insieme in quello stomaco dalla scarsa dimensione e capacità di dilatazione.

La signora aveva trovato una “soluzione” piuttosto strana per mangiare la pizza: la frullava e la “beveva”.  “Diventa una specie di yogurt” mi disse. Queste parole le ho ben impresse nella mia memoria.

Nel sentire quella risposta un “click” è risuonato nella mia mente. E’ stato l’inizio del mio lungo percorso di riflessione sul cibo e le sue dinamiche. (ricorda, a quei tempi avevo appena cominciato a fare consulenza).

Come può una persona già operata (e per giunta seriamente malata) avere idee così malsane?

Come è possibile tentare in tutti i modi di farsi del male in questo modo?

Cosa insegna “VITE AL LIMITE”

Forse avrai visto su Real Time (il canale televisivo sul Digitale Terrestre) la serie documentario “Vite al Limite”, creata, diretta e condotta da questo ormai celebre personaggio di nome Dottor. Nowzaradan.

In questa serie TV (per il mio lavoro estremamente didattica) questo dottore di Houston cerca (spesso invano) di far dimagrire queste persone estremamente grasse (donne e uomini con peso superiore ai 270 chili), attraverso diete piuttosto restrittive e, dopo qualche mese, interventi chirurgici come quello illustrato sopra.

Ogni puntata segue una persona per un anno intero nel suo viaggio verso il dimagrimento e il ritorno ad una condizione di (quasi) normalità di vita (normalmente queste persone all’inizio del percorso non sono minimamente autosufficienti: devono essere aiutate nel lavarsi, nel camminare, nell’alzarsi dal letto e spesso hanno bisogno di ossigeno dall’esterno per respirare in maniera idonea).

Due cose contraddistinguono ogni episodio:

  1. La storia iniziale: perché la persona è diventata così grassa; perché ha deciso di chiedere aiuto al dottore. In tutti gli episodi esiste sempre un grande trauma infantile o adolescenziale subito che è stato compensato attraverso l’introduzione di abnormi quantità di cibo quotidiane.
  2. La richiesta di aiuto tramite la chirurgia: al primo appuntamento con il dottore, tutti i pazienti implorano di essere operati, pensando (erroneamente) che il loro problema di essere grandi obesi si risolva (solo) riducendo la loro capacità di ingerire e/o assimilare il cibo.

abitudini alimentari

 

Nonostante la dieta ferrea e l’intervento chirurgico, molti di questi pazienti dopo qualche mese tendono ad abbandonare il loro percorso (nonostante abbiano magari già perso 120-140 kg!) e riprendere molto del peso perso con grande fatica in precedenza.

Il cibo purtroppo non è solo calorie e cascate ormonali, ma ha anche una grossissima componente psicologica.

Quelli che ti ho presentato ora sono sicuramente due casi “limite” per quanto riguarda il rapporto psicologico ed emotivo con il cibo.

Ho voluto farti aprire gli occhi su una problematica spesso dimenticata da molti miei colleghi nell’approccio con il paziente.

Ognuno di noi ha qualche piccola o grande associazione emotiva al cibo.

Qualcuno mangia più del dovuto quando è triste.

Qualcuno mangia più del dovuto quando deve festeggiare.

Qualcuno mangia più del dovuto quando è in compagnia.

Qualcuno mangia più del dovuto per noia.

E potrei andare avanti con altre forti associazioni molto comuni.

PS: sostituisci “mangia” con “beve” o “fuma” e le frasi rimangono assolutamente veritiere, sono solo altri fattori compensatori. Rimaniamo però centrati sul cibo e sul mangiare.

Queste considerazioni devono farti riflettere su quanto limitativo sia basare una dieta solitamente sul calcolo calorico restrittivo o su qualsiasi altro tipo di restrizione.

In fase di anamnesi chiedo spesso di queste possibili situazioni quotidiane che possono capitare alla persona, e cerco di trovare soluzioni per evitare che il paziente ricaschi in questi schemi.

Un altro fattore su cui vorrei farti riflettere riguarda il significato della fame che, alla luce di quanto detto sopra, risulta molto diverso da quello che probabilmente hai avuto in mente fino ad oggi.

Quella che io considero “fame” è la condizione in cui l’organismo ha oggettivamente bisogno di nutrirsi in quando carente di nutrienti per il suo sostentamento fisiologico, e dunque questo crea lo stimolo comportamentale a nutrirsi.

Percepiamo la vera fame raramente nel quotidiano, perché siamo abituati a nutrirci in maniera costante.

Quello che normalmente viene percepito sono le associazioni emozionali legate al cibo, non la vera fame.

Sono due cose ben diverse perché richiamano anche alimenti molto diversi.

Queste associazioni sono spesso correlate a cibi dolci o cibi cosiddetti “spazzatura”.

La fame è invece generalmente veicolata ad alimenti che contengono più nutrienti, non solo ricchi di calorie.

Non voglio entrare nei meccanismi endocrini e neurologici che regolano la fame, dedicherò un articolo specifico a riguardo prossimamente e, soprattutto, mi allontanerei dai concetti che voglio lasciarti attraverso la lettura di questo articolo.

Quanto conta tutto questo nella messa in pratica della dieta?

Te lo dico io: PARECCHIO.

 

Specialmente dopo i primi 60 giorni di dieta.

Una statistica che ho ricavato empiricamente dal lavoro sulle persone che ho aiutato negli ultimi 3 anni racconta proprio questo: i primi 2 mesi (60 giorni) di dieta (qualunque essa sia di base) vengono gestiti abbastanza serenamente, senza particolari problemi nella gestione quotidiana.

Normalmente sono due mesi molto produttivi se si tratta di ad esempio di dimagrimento. I risultati non tardano ad arrivare.

“Scollinati” i primi 60 giorni invece qualcosa si rompe. La persona tende ad agire con più sufficienza e tende a derogare più del dovuto, uscendo più spesso dal percorso corretto alimentare e adducendo scuse che prima non utilizzava.

Perché?

Perché è venuta meno la forza di volontà necessaria per sostenere la dieta stessa e non è passato ancora il tempo necessario per convertire le vecchie abitudini errate nelle nuove abitudini più idonee ad uno stile di vita alimentare corretto.

Prima di spiegarti perché la la forza di volontà è così importante da gestire lascia che ti spieghi, almeno a grandi linee, come funziona la mente umana.

abitudini alimentari

 

Come funziona la mente umana

La mente si divide in due grandi parti: Conscia ed Inconscia.

La mente conscia serve per la formulazione del pensiero.

Quando tra te e te dici “Fammi pensare a…” ecco, stai usando la mente conscia.

Questa mente conscia è attiva solo nel 5% del tempo, mentre nel restante 95% è attiva la mente inconscia, ovvero il nostro “pilota automatico” (ad esempio mentre guidi per andare al lavoro spesso ti sarà capitato di non ricordarti nemmeno il tragitto che hai fatto, infatti mentre guidavi l’ultimo dei tuoi pensieri era proprio il guidare!).

La mente inconscia contiene tutto ciò che, attraverso la ripetizione continua, facciamo sostanzialmente in maniera automatica o semi-automatica.

La parte inconscia è il nostro pilota automatico, e qui dentro c’è tutto quello che noi facciamo in automatico anche rispetto al cibo, ovvero le nostre abitudini.

Visto quanto sopra, stare a dieta richiede uno sforzo a carico della mente conscia, almeno nei primi mesi di pratica.

Questo accade perché devi “forzarti” ad eseguire nuovi comportamenti alimentari. Non puoi più andare in automatico come facevi prima.

Ed ecco dove si inserisce la forza di volontà: questa serve proprio per sovrastare le tue abitudini alimentari e “forzarti” a scegliere correttamente ciò che devi mangiare.

C’è però un problema: la forza di volontà è in quantità finita e la usi anche per altre attività quotidiane che richiedono uno sforzo conscio (nuovo lavoro/compito, discussioni, problemi da affrontare).

Ed ecco che, come capita spesso, non appena la forza di volontà, che ci teneva nel piano alimentare senza se e senza ma, viene improvvisamente dirottata su qualcosa d’altro che richiama la sua attenzione e che d’improvviso diventa prioritario, la dieta torna in autopilota e quindi torniamo alle vecchie abitudini errate.

Finché ciò che pensiamo e/o riteniamo giusto non diventa una abitudine comportamentale inconscia, continueremo a “pensare” ad una cosa e farne un’altra.

abitudini alimentari

 

 

Ed ecco perché le diete di mantenimento falliscono miseramente nella maggior parte dei casi: non è passato sufficiente tempo per portare le nuove abitudini alimentari nella mente inconscia.

Cosa devi fare per cambiare le tue abitudini alimentari

Ritengo che non si possa essere un nutrizionista completo senza tenere in considerazione come funziona la mente umana e le sue trappole inconsce.

Come cambiare queste abitudini errate definitivamente e farle subentrare alle vecchie.

Il metodo più pratico e controllabile nel lungo periodo è la RIPETIZIONE.

Devi ripetere azioni corrette per tante volte consecutivamente, facendole pian piano sempre più “tue” e svolgendole in maniera sempre più automatica, finché non diventano una nuova abitudine a tutti gli effetti che sovrascrive completamente la vecchia.

Quanto tempo ci può volere affinché avvenga questo?

Nell’ambito “crescita personale” esiste da tempo una leggenda radicata che è legata al cambiamento in 21 giorni.

Non mi ritengo d’accordo con questa regola.

Può essere vero per cambiamenti meno profondi e riguardanti azioni meno “cronicizzate” (ad esempio io ho cambiato la mia brutta abitudine di rimandare la sveglia al mattino in meno di 21 giorni), ma quando si parla di cibo la mia esperienza pratica dice altro.

Servono a mio avviso almeno 6-9 mesi per ottenere un cambiamento significativo delle abitudini alimentari, salvo “scivoloni” (per qualche motivo si torna alle vecchie abitudini)  durante il percorso che rallentano il paziente nel processo di cambiamento.

E’ proprio per questo che prima di terminare il lavoro con il paziente chiedo di rimanere in contatto durante il mantenimento per i successivi 6 mesi. Sono infatti i mesi decisivi per consolidare il risultato ma soprattutto le abitudini che lo hanno generato.

Spesso non vengo capito quando avanzo questa richiesta.

Quello che spiego è che stanno per iniziare la fase più importante del loro percorso! Non è difficile ottenere un risultato con la dieta, complicato è consolidarlo!

Chiediti perché il 95% delle persone riprende con gli interessi il peso perso dopo una dieta entro l’anno successivo alla sua interruzione.

Proprio perché la fase di mantenimento non viene gestita correttamente e non c’è tempo materiale di continuare a praticare e di consolidare quelle buone abitudini che avevano generato il risultato precedente.

Non sono i 10-20-30-40 o persino 50 kg che hai perso che contano, conta solo come è cambiato il rapporto che hai con il cibo e di conseguenza le tue abitudini alimentari.

Senza questa consapevolezza rimarrai schiavo delle diete, cercando sempre la “pillola magica” che risolve il problema provvisoriamente, ma mai in maniera definitiva

La nutrizione umana è una disciplina biologica E comportamentale, non dimenticarlo.

Il tuo successo, in ultima istanza, dipende da come cambieranno le tue abitudini.

Il tuo corpo è il risultato delle tue abitudini e del tuo stile di vita.

Spero di averti fatto capire quanto è importante quali idee e comportamenti ci sono nella tua mente rispetto all’argomento dieta.

Se non hai ancora ottenuto i risultati che consciamente vuoi, è ora di ripartire con comportamenti alimentari e di stile di vita migliori.

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